FRANCESCO SALVATOR FONTEBASSO

Clicca per la storia di Francesco Salvatore Fontebasso

Francesco Salvatore Fontebasso nasce a Venezia nel 1707 e fu uno dei massimi esponenti della pittura veneta nel periodo rococò. Formatosi nella bottega di Sebastiano Ricci, la sua pittura fu fortemente influenzata da quella del Tiepolo, come lo testimoniano numerose sue opere, e venne ritenuto uno degli ultimi esponenti dello stile monumentale veneziano del Settecento.

Fontebasso fa parte di quei “pittori viaggianti” e, dopo un breve soggiorno romano, fece ritorno nella sua città natale nel 1728 facendo tappa a Bologna. L’influenza della scuola bolognese è riconoscibile nelle sue prime opere autonome, come l”Adorazione dei pastori” del 1732 nella chiesa di San Martino a Burano. Intorno al 1730 fu a Udine, dove studiò gli affreschi del Tiepolo nel Duomo e nel Palazzo dei patriarchi.

Intorno al 1740 la Formazione del Fontebasso  era ormai completa e nelle sue opere migliori riuscì a fondere in uno stile personale l’insegnamento di Ricci nei colori chiari e vibranti, con un plasticismo denso dei corpi ed una salda struttura architettonico-prospettica recepita nelle sue trasferte. Inoltre il desiderio di accostarsi alle novità del Tiepolo lo spinse alla ricerca di visioni spaziali di aerea leggerezza su cui comunque prevarrà la viva percezione delle forme e della materia.

Il primo importante lavoro del Fontebasso a Venezia fu la decorazione ad affresco della chiesa dei Gesuiti commissionatagli agli inizi degli anni Trenta dalla famiglia Manin, dove raffigurò “l’Apparizione degli angeli ad Abramo” e “Elia rapito in cielo”. 

Su commissione dell’avvocato veneziano Sebastiano Uccelli, intorno alla metà del settecento, a Santa Bona di Treviso dipinse le pareti della sala da ballo nella barchessa di Ca’ Zenobio, oltre ad alcune sale della villa. 

Come altri pittori veneti del periodo, dopo aver lavorato tra Venezia, Padova e Treviso, fra il 1761 e il 1762 si recò a San Pietroburgo su invito della Zarina Caterina II dove rimase due anni. Nella città russa eseguì numerose decorazioni per i palazzi imperiali, ma dipinse anche ritratti e quadri di genere. Nonostante avesse ricevuto l’onore di essere nominato professore presso l’Accademia imperiale delle arti, preferì far ritorno a Venezia dove nel 1768 fu nominato presidente dell’Accademia.

I QUADRI DI FRANCESCO FONTEBASSO

Audio per i quadri di Francesco Salvatore Fontebasso

Clicca per i quadri di Francesco Salvatore Fontebasso

I quadri di Francesco Fontebasso, raffigurano due vicende tratte dall’Antico Testamento. Il primo è la “Vittoria di Giosuè sugli Amaleciti” e tratta della preghiera propiziatoria per la vittoria di Giosuè contro Amalek. Secondo il testo sacro Mosè, recatosi sulle colline con Aronne e Cur, quando alzava le mani nel gesto della preghiera  il popolo di Israele vinceva, non appena, per stanchezza le lasciava cadere, il nemico aveva il sopravvento. Fu così che Aronne e Cur fecero appoggiare Mosè ad una roccia e, insieme, lo aiutarono a sostenere le braccia.

Il secondo dipinto raffigura invece “Mosè e il serpente di bronzo”. Una delle tante insidie durante la marcia di Israele nel deserto del Sinai erano i serpenti velenosi che si annidavano tra le pietraie. L’innalzamento di un serpente di bronzo da parte di Mosè, rappresentava quasi una sorta di antidoto e di ex voto: è curioso notare che a Timna, nella regione mineraria dell’Arabia, nell’area settentrionale sinaitica, sono stati scoperti dagli archeologi piccoli serpenti di rame, metallo che là abbondava, i quali probabilmente avevano la funzione di protezione magica da quei rettili velenosi che infestavano la steppa.

La narrazione biblica sottolinea che la liberazione dalla morte per avvelenamento avveniva solo se si “guardava” il serpente innalzato, cioè se si aveva uno sguardo di fede nei confronti di quel “simbolo di salvezza”.

In queste opere il Fontebasso sembra ispirarsi a proprie realizzazioni riproposte con varianti, precisamente al ciclo trentino da lui realizzato nella fase estrema di attività. Sono gli anni in cui il Fontebasso percepisce l’attrattiva per gli spazi paesistici colmi di luminosità dove l’impasto pittorico si sminuzza in tocchi di luce. Per queste tele si può avanzare una collocazione cronologica fra il 1733 e il 1735, quando Fontebasso si uniforma, come ebbero a scrivere alcuni critici, «al gusto decorativo tiepolesco, liberandosi da ogni struttura quadraturistica e puntando sull’effetto degli episodi figurali proiettati dal sott’in su verso il cielo luminoso, con un risentito gioco di tornitura plastica»: poche volte egli ha raggiunto una felicità inventiva di brio rococò e al tempo stesso di limpidità di colore, come in questi dipinti. Ma anche queste due prove ne sono una testimonianza. 

Al primo sguardo i dipinti manifestano una non comune sapienza tecnica: si tratta, per dimensioni e per velocità di stesura, di un modello in cui le figure sono disposte con sicurezza in una tavolozza dai cromatismi sofisticati. Di delicate finezze cromatiche, il dipinto mostra tutte le trasparenze leggere e i virtuosistici trapassi di cui erano capaci i migliori interpreti della tradizione veneziana del Settecento. 

Francesco Fontebasso, tra i principali seguaci di Sebastiano Ricci e, più oltre negli anni, per l’adesione piena al gusto rococò di una delle principali scuole, quella veneziana, della civiltà figurativa europea. Questi dipinti sono esuberanti, qui, egli ha saputo cogliere il volgere di una sensibilità decorativa in un linguaggio del tutto autonomo, 

Per quanto riguarda, invece, la loro appartenenza alla parrocchiale di Selva del Montello, viene riportata l’iscrizione emersa nel corso del restauro sul Mosè che batte la rupe, (tavv. VII-X) la quale attesta come questa tela, e dunque le altre, sia stata donata nel 1819 da Francesco Petropoli, esponente di una famiglia di mercanti veneziani che avevano da tempo la loro residenza con annesso oratorio in quel di Selva. Petropoli potrebbe essere venuto in possesso di tali dipinti per acquisto in quella congiuntura che fa seguito alle soppressioni napoleoniche delle istituzioni religiose, quando si assisteva all’immissione nel mercato di una quantità incredibile di opere d’arte provenienti soprattutto dai luoghi di culto o dalle sedi delle confraternite. La quantità e la qualità delle opere acquistate in breve tempo per la parrocchiale di Selva è dunque davvero sorprendente, mentre anche solo attraverso tale resoconto si rimane sconvolti a pensare quanto devastato risultasse in quel momento il patrimonio artistico specie quello veneziano. Infatti, proprio in questo periodo, molte chiese si arricchirono di opere d’arte spesso acquistate a poco prezzo, perchè al tempo considerate di autori minori, riscoperti e rivalutati solamente con la critica novecentesca.

Un particolare ringraziamento all’architetto Alessandro Facchin e all’associazione Selva Nostra per l’elaborazione dei testi 

Un particolare ringraziamento alla voce di Giulia Zanetti e Roman Mandziy per gli audio