GIANANTONIO GUARDI
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I Guardi sono stati un’importante famiglia di pittori che per tre generazioni hanno realizzato opere artistiche fra il Veneto, la Lombardia e Vienna, opere di carattere rococò e vedutista che ci hanno lasciato un’ immagine suggestiva di Venezia, loro principale residenza.
La loro attività pittorica copre un arco di tempo che va dalla seconda metà del ‘600 fino alla prima metà del ‘700.
La famiglia, originaria di Commezzadura nella Val di Sole in provincia di Trento, vede come capostipite Guardo de Guardi, che mandò il suo primo figlio Domenico a Vienna da uno zio canonico della cattedrale di Santo Stefano per avviarlo nella carriera artistica.
Dei cinque figli, però, i più conosciuti sono sicuramente Gianantonio (1699-1760) e soprattutto Francesco (1712-1793), la cui formazione e gran parte della sua attività fino al 1760 si svolsero insieme al fratello maggiore, Giannantonio, che dirigeva la bottega a conduzione familiare, dove tutti erano pittori, dal padre ai fratelli. Non è nota con certezza la data d’inizio del suo lavoro di vedutista, forse attorno al 1755. Guardi comincia a realizzare le prime vedute per il mercato dei visitatori stranieri, orfano in quegli anni di Canaletto, allora trasferitosi in Inghilterra. Le prime opere ricalcano le composizioni di Canaletto e Marieschi, la stesura pittorica è ancora fluida e controllata, lontana da quella frizzante e stenografica che lo renderà invece celebre. Rispetto al fratello manifesta una diversa sensibilità con una pennellata che diverrà rapida e spezzata con spumeggianti impasti di colore, rivelatori di un timbro cromatico vivacissimo in grado di rendere il legame tra figure ed atmosfera. L’interesse per il paesaggio lo porta ben presto ad avvicinarsi al vedutismo di cui propone un’ interpretazione personale che elimina la componente “fotografica” e documentaria per una resa atmosferica capace di rendere il particolare vibrare della luce della laguna. Nascono così capolavori come le due Vedute della Ca’ d’Oro o quelle conservate in musei di tutto il mondo. Nel 1782 ottenne l’incarico ufficiale di eseguire i dipinti in ricordo dei festeggiamenti per le visite di papa Pio VI e degli arciduchi russi Paolo Petrovic e Maria Teodorovna, opere che testimoniano la sua capacità di rappresentare anche la vita e il ritmo della sua città. Con il tempo il suo stile personalissimo diviene sempre più libero ed allusivo: le proporzioni fra i vari elementi sono liberamente alterate, la struttura prospettica diviene elastica e si deforma senza alcun aggancio con la realtà. Infine le figure diventano semplici macchie di colore, un rapido scarabocchio bianco o un punto nero tracciato con un segno tremolante. Oltre agli aerei capricci, dipinge anche alcune splendide immagini di ville immerse nel verde della campagna veneta e alle tradizionali riprese di Venezia egli affianca quelle della laguna, ampliando gli orizzonti del vedutismo veneziano settecentesco fino a dissolverlo in vaste distese d’acqua e di cielo. Dopo la morte nel 1793, su Francesco Guardi cade l’oblio e la sua riscoperta è merito della critica del Novecento.
Del fratello Gianantonio vi sono invece pochi e frammentari dati circa la biografia, soprattutto per quanto riguarda la vita privata e gli anni giovanili. Ciò è forse dovuto al fatto che la vicenda personale ed artistica di Gianantonio si svolse in un’epoca e in un ambiente che gli riservarono una scarsa attenzione e un’altrettanto modestissima considerazione. A questo si deve sommare l’aggravante di un totale oblio che ha inghiottito la vita e l’opera dell’artista per più di un secolo e mezzo, per una riscoperta, avviatasi soltanto nel secondo decennio del Novecento, che ha dato un posto di primissimo piano nel canone artistico settecentesco, non solo veneziano né solo italiano, ma persino europeo, grazie anche ad una critica più sensibile alla modernità che si è voluta riconoscere nelle opere maggiori del pittore, che hanno contribuito alla sua crescente rivalutazione storico-artistica.
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GIANANTONIO GUARDI 1699 – 1760
Il pittore rococò di scuola veneta Gianantonio Guardi nasce a Vienna nel 1699 e la sua prima formazione avviene presso la bottega del padre, Domenico Guardi. Dopo la morte del padre, Gianantonio, a soli diciasette anni, riprende gli studi a Venezia insieme ai suoi due fratelli entrambi artisti, Francesco e Niccolò. La sua pittura si basa su dipinti di soggetti religiosi, scene di genere, e copie dei maestri precedenti. Dal 1730 ottiene commissioni soprattutto dal tedesco Johann Matthias von der Schulenburg Graf, maresciallo degli eserciti veneziani e dipinge per lui numerose copie di maestri veneziani, quali Tiziano, Tintoretto, Sebastiano Ricci e altri, oltre ritrarre molte famiglie regnanti d’Europa. Nel 1756 diventa membro fondatore dell’Accademia di Venezia e la maggior parte degli studiosi ritengono Gianantonio Guardi il principale artefice dei celebri quadri storici raffiguranti “Tobia sul pergamo” nella chiesa di Raffaele Angelo a Venezia nel 1750. Se si ritiene questa opera come sua, sarebbe il riscatto per Giantantonio, che si potrebbe considerare come uno dei più importanti pittori del rococò veneziano. Giantantonio Guardi, dopo aver viaggiato e operato per tutta Europa, come fu caratteristica dei pittori veneziani del periodo, morì nella città lagunare nel 1760. Le opere di Gianantonio Guardi sono qui collocate lungo la parete meridionale del transetto, sulla destra osserviamo “Mosè bambino calpesta la corona del faraone”, mentre sulla sinistra “La verga di Aronne tramutata in serpente”. Come per la vita dell’artista, anche per queste opere poche e scarne sono le indicazioni che si aggiungono ad alcuni dati d’Archivio della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto, che consentirebbero di ricostruire la storia recente del ciclo pittorico di Selva. Come Francesco, anche Gianantonio sceglie dunque questa volta, per il suo ciclo dedicato al patriarca Mosè, modelli rococò di attualità e di gran moda internazionale nella Venezia del periodo. I dipinti raffiguranti Storie di Mosè, compongono un ciclo narrativo tematicamente unitario e di vasto respiro monumentale forse in origine ancora più esteso, al quale hanno contribuito più autori. Rimane ignota l’originaria destinazione; mancano informazioni sui vari passaggi relativi alla provenienza di queste opere, mentre si conosce il modo con cui esse furano consegnate infine alla parrocchiale di Selva solo nel corso dell’Ottocento. Va considerato che la loro paternità ne rende altamente probabile l’appartenenza, in origine, a Venezia, dove i temi iconografici connessi alla figura di Mosè trovano una prima fortuna nei cicli tintoretteschi e, per quello che qui interessa, si rinnovano nel corso del Settecento nei dipinti di Tiepolo e Ricci del 1720 per la chiesa dei Santissimi Cosma e Damiano alla Giudecca, e nelle grandi tele di Tiepolo per Verolanuova dell’inizio del 1740. L’importanza del culto di Mosè a Venezia viene sottolineata anche dall’imponenza di un monumento come la chiesa di San Mosè.
Un particolare ringraziamento all’architetto Alessandro Facchin e all’associazione Selva Nostra per l’elaborazione dei testi
Un particolare ringraziamento alla voce di Giulia Zanetti e Roman Mandziy per gli audio